Atene e Siracusa si assomigliano (e credo che entrambe lo abbiano dimenticato)
La mia visita ad Atene è stata sotto molti aspetti un personale momento di svolta. Ha rappresentato il mio primo tentativo di mettermi in gioco nei concorsi fotografici e il mio battesimo nel mondo delle gallerie d’arte e delle esposizioni collettive. Quella che era nata semplicemente come l’occasione per una piccola esplorazione della cultura ellenica si è però, al momento del nostro arrivo, presto trasformata nella scoperta delle somiglianze che da ogni parte mi ricordavano casa.
Non si è trattato soltanto di lasciare una Vienna fredda e piovosa per una città baciata dallo stesso sole siciliano di maggio e nemmeno (solo) la possibilità di poter andare a fare un bagno al mare. È stata l’emozione di trovare una città ritagliata dalla stessa cultura, dalle stesse abitudini e dalla stessa generosità innata della mia terra.
Di Atene mi hanno colpito le piccole cose: le palme dei parchi cittadini, i balconi con le tende da sole colorate, le strade strette e le macchine posteggiate su entrambi i lati, il mercato della frutta in centro città, la vita quotidiana accanto alle rovine antiche, il verde e il giallo dell’erba secca che con quel caldo non può che prendere il sopravvento, i piccioni, l’architettura antica, i sorrisi, la musica della vita notturna.
Per quanto possa sembrare strano a chi non è cresciuto in questo modo, forse il momento in cui mi sono sentito più a casa è stato proprio in centro, quando ho visto che i greci condividevano con le auto gli spazi la strada, anche quelli più stretti. Che bella la libertà di poter camminare nuovamente al centro della via, senza nessuna preoccupazione! Le macchine che passavano da quelle parti erano poche e andavano a passo d’uomo. Questa eredità arcaica di spazi condivisi tra uomini e carretti, nella sua evoluzione odierna di spazi condivisi tra uomini e automobili, rappresenta simbolicamente a tutti gli effetti la città che ha dato i natali alla Democrazia, una città concepita a misura d’uomo piuttosto che a misura d’imperatore asburgico.
Al netto delle differenze tra le due città, Atene potrebbe essere l’esempio di ciò che Siracusa sarebbe potuta diventare se anch’essa avesse mantenuto, storicamente, importanza e influenza nazionale. Conoscendo la sua storia e sapendo che la città non si è mai ripresa la sua importanza mi mette ovviamente, a causa dell’orgoglio siciliano (inteso come orgoglioso di esserlo), un po’ di malinconia. Ad Atene mi sembrava di vedere una Siracusa alternativa, che solo la lingua mi ricordava di stare sognando. E quante volte avrò pensato e detto che, se la lingua non ci separasse, italiani del sud, greci e spagnoli avrebbero potuto creare una Lega Mediterranea?
Ma Atene per me ha anche rappresentato un nuovo tentativo con la street photography. Rispetto a Berlino, ho sentito di aver mosso dei passi in avanti e di aver trovato una dimensione più interessante, al confine tra la fotografia di viaggio e quella di strada.
Ovviamente le due città non potevano condividere solo gli aspetti positivi. Ci sono state almeno due esperienze che a modo loro avevo già vissuto nella mia vita precedente (quella siciliana):
Per raggiungere il tempio di Poseidone avremmo dovuto prendere un bus alle 10 del mattino, impossibile da trovare in tempo. E quando abbiamo scoperto da dove partiva, qual era il prossimo disponibile per la stessa tratta? Quello delle 16. Per non perdere l’intera giornata abbiamo dovuto raggiungere l’altra parte della città e prendere il bus delle 12, più lungo, e arrivare a destinazione alle 14, in ritardo sulla nostra tabella di marcia ma non come la prima alternativa.
Anche la nostra seconda giornata di mare è stata un’esperienza frizzantina. Al ritorno perdiamo il primo bus, e il secondo e il terzo ci sono passati davanti senza fermarsi. Uno degli autisti ci ha addirittura salutato con la mano prima di sparire all’orizzonte. Il vento che si era alzato non è stato d’aiuto. Per evitare di infreddolirci abbiamo camminato per una ventina di minuti fino a incrociare il pullman successivo e non contenti di tentare la sorte, siamo pure scesi al limitare della città, di fronte alla prima fermata del tram, per goderci le ultime luci del giorno. Da lì è andata di nuovo bene.
Atene mi ha costretto a confrontarmi non solo con le mie esperienze passate ma anche con quelle attuali. Mi sono accorto ad esempio di essermi sbigottito quando, di fronte alle porte dei vagoni della metropolitana in apertura, ho visto i viaggiatori salire PRIMA di far scendere quelli che dovevano scendere. “Che maleducazione!” ho pensato io, ormai esperto, che a Vienna sono stato strattonato per il braccio o i vestiti per allinearmi alla segnaletica a terra, oppure ho ricevuto spallate rieducative o una volta preso una borsetta in faccia da una vecchia che andava di fretta! Io, esperto o forse traumatizzato.
Qui invece ho visto tutt’altro. Ho riscoperto la spontaneità che stavo cercando da anni quando sono stato accolto come un vecchio amico da persone che avevo conosciuto la sera stessa e con cui ancora oggi sono in buoni rapporti quasi quotidiani.
Ho capito che questa spontaneità non fa solo parte della mia cultura ma è anche un mio bisogno, e che a Vienna, a meno di non incontrare persone cresciute in ambienti simili, sarà difficile trovarla in questo stesso modo. In fondo, è più facile importare prodotti di altre culture che le idee.
Parlare con alcune persone mi ha fatto però capire che le somiglianze tra Grecia e Sicilia riguardano anche gli aspetti drammatici. Certi discorsi sulla mentalità dei greci, infatti, sembravano descrivere anche la mentalità dei siciliani (e del sud Italia in generale). Da una parte il grande valore delle relazioni umane, la solidarietà tra famiglie e vicini, la generosità; dall’altra però anche una struttura patriarcale ancora dominante, la diffidenza verso il nuovo, l’atteggiamento difensivo. Si tratta di una frattura emotiva che non riguarda soltanto la crisi economica ma anche il bisogno di libertà di chi decide di fuggire o sta quasi per farlo e il senso di resistenza soffocato di chi quotidianamente decide di restare.
Forse è in questa tensione, tra afa e stanchezza, tra caos e appartenenza, che si nasconde la bellezza di entrambi i luoghi. E forse è questo che ho provato a fotografare: i colori di un’estate calda, lenta, antica e moderna allo stesso tempo, affamata ma anche sazia e felice.